La Via degli Dei è forse il cammino più famoso d’Italia. Ogni anno lo percorrono migliaia di persone e la sua fama ha contribuito a diffondere un nuovo modo di fare turismo.

 

Dieci anni fa però la situazione era molto diversa, e quando Stefano Lorenzi organizzava i primi gruppi per percorrere il sentiero che unisce Bologna a Firenze, era l’unico a credere in questo progetto.

Solo il tempo gli ha dato ragione: oggi la Via degli Dei è un prodotto turistico affermato e frequentato, il cui contributo ha saputo cambiare il destino di un piccolo angolo di Appennino.



Stefano, chi è e come nasce Appennino Slow?

Appennino Slow nasce nel ’98, anche se con un nome diverso.

A quel tempo la società era una partecipata pubblica il cui intento era quello di promuovere il territorio dell’Appennino bolognese.

Negli anni l’obiettivo è rimasto lo stesso, ma con i vari decreti e le nuove normative i comuni sono dovuti uscire dalla compagine sociale, la quale oggi rimane esclusivamente privata.

Se ti racconto questo piccolo inciso è perché voglio introdurre il fatto che noi, all’articolo uno del nostro statuto, ci definiamo come una società senza scopo di lucro.

Inizialmente fu una cosa voluta dagli enti pubblici, ma è rimasta invariata e ancora oggi l’utile non viene distribuito tra i soci, ma reinvestito nelle attività di promozione territoriale.

Questa è un po' un'anomalia rispetto ad altre realtà, ma è anche un bel biglietto da visita.

 

 

Quali sono le vostre attività principali?

In breve, ci occupiamo della promo-commercializzazione del territorio dell’Appennino bolognese. 

Ci prendiamo quindi cura tanto della sua promozione territoriale, che portiamo avanti attraverso i quattro uffici di promozione turistica di cui ci è stata affidata la gestione, quanto della sua commercializzazione.

Per la precisione siamo tour operator solo dal 2016. Prima di allora ci siamo sempre occupati della costruzione di pacchetti viaggio, ma venivano commercializzati dai nostri partner.

 

 

Com’è stato essere tra i primi a credere in questo tipo di prodotto?

Quando siamo partiti, ormai 13 anni fa, abbiamo fatto una scelta precisa. Puntare sul tema dei cammini non era per nulla scontato e all’epoca eravamo visti come dei visionari. Ricordo ancora la rabbia degli operatori quando vedevano arrivare le persone con la tenda e il sacco a pelo.

Dicevano che così non si poteva fare turismo.

 

 

Invece è andata diversamente…

Un po’ abbiamo lavorato bene noi, un po’ sarà stata la fortuna, ma la Via degli Dei ha cambiato le sorti dell’Appennino bolognese. Perlomeno lì dove è attraversato dal cammino.

Pensa che siamo partiti con mille, duemila persone e siamo arrivati, nel 2021, a 18.000 camminatori. Il che vuol dire, per una media di sei pernottamenti necessari a completare il tragitto, un totale di 120.000 presenze e un indotto di sei milioni di euro.

Non è un caso se in alcuni paesi, quei bar e quegli hotel che fino a qualche anno fa erano sopravvissuti solo grazie alle maestranze legate alla costruzione dell’alta velocità, oggi hanno trovato un nuovo motivo per rimanere aperti.

Ma un dato che può rendere l’idea dell’impatto che ha avuto il cammino sul territorio è questo: negli ultimi cinque anni, lungo la Via degli Dei sono nate 34 nuove strutture.

Parliamo ovviamente di piccole realtà, le quali però hanno dato un nuovo impulso all’economia e fatto sì che molti giovani potessero avere anche qui una prospettiva futura.

Ovviamente l’Appennino rimane un territorio difficile, ma grazie alla Via degli Dei oggi c’è qualche opportunità in più.

 

 

Possiamo dire che abbiate trovato nel cammino il prodotto adatto al vostro territorio?

Pensa che nel 2020, nonostante sia stato l’anno peggiore della pandemia, sono nati 30 nuovi cammini. Questo perché molte persone hanno capito che questa forma di turismo può essere una risorsa importante per i territori marginali.

Quando ti parlo di sei milioni di indotto sto escludendo le città di Firenze e di Bologna: queste cifre, per i piccoli comuni, possono davvero cambiare il corso dell’economia locale.

 

 

A proposito della pandemia, voi come avete vissuto questi ultimi due anni?

La nostra non è un tipo di vacanza che ha risentito molto della paura e delle difficoltà generate dalla situazione attuale.

Al contrario, il fatto di essere rimasti chiusi in casa e di non aver potuto frequentare luoghi troppo affollati ha giocato a favore di uno stile di vita all’aria aperta, tanto che abbiamo lavorato sempre molto bene e in due anni e mezzo siamo riusciti a raddoppiare il fatturato.

È chiaro che anche questo settore ha poi le sue difficoltà specifiche, per cui ci sono persone che non sempre arrivano preparate, non si allenano e hanno bisogno di maggiore attenzione e più servizi.

 

 

Quali sono le difficoltà che avete incontrato nello sviluppare questo prodotto?

In Italia i cammini sono spesso affidati alle associazioni, per esempio a quelle religiose, che fanno il possibile per tenerli in vita. Proprio perché si tratta di volontari, però, la loro capacità di azione è limitata.

Se vuoi che un cammino funzioni devi riuscire a fare un grande lavoro per coinvolgere tutta la comunità. Per capirci, se un turista ferma un passante e gli chiede dov’è la Via degli Dei, questo deve sapergli rispondere!

Inizialmente è stata una bella fatica riuscire a creare una rete con gli attori del territorio, ma oggi ne raccogliamo i frutti.

Della Via degli Dei sono state pubblicate dieci guide… nemmeno la Via Francigena ne ha così tante. Se gli editori sono disposti ad investirci, è perché sanno che questo cammino funziona.

 

 

Coinvolgere la comunità è stata l’unica difficoltà?

No, ce ne sono state anche altre.

Per esempio, un cammino deve essere fruibile e ben segnalato. Può sembrare una banalità, ma è un lavoro importante.

Ecco perché penso sia fondamentale che...

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